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giovedì 7 aprile 2016
martedì 5 aprile 2016
BANG!!!!!!!!!!!!!!!
2004 :prima donna insignita del
Prizker Prize, l’equivalente del Nobel per l’architettura. “Non me lo
aspettavo” affermò. “Spero che lo diano a molte altre donne e che vengano
riconosciute anche partner di architetti, come Denise Scott Brown”. Ma dopo di
lei sarà assegnato solo alla giapponese Kazuyo Sejima nel 2010. Ai microfoni
della CNN, subito dopo aver ricevuto il Prizker, aveva sottolineato di come in
passato non le piacesse essere additata come un architetto donna.
“Sono un architetto, non solamente
una donna architetto”.
Nata a Baghdad nel 1950, Zaha Hadid
ha studiato Matematica all’American University di Beirut per poi trasferirsi a
Londra nel 1972, dove ha seguito il corso di Architettura all’Architectural
Association. Appena terminati gli studi, è entrata a far parte dell’Office
Metropolitan Architecture e ha iniziato a insegnare all’Architectural
Association e in altre importanti università americane come l’Harvard Graduate
School of Design e la facoltà di Architettura dell’University of Illinois
Chicago.
Se c’è un’opera per cui Berlino
ricorderà l’archistar Zaha Hadid, questa è sicuramente l’Iba Block B del
progetto Iba Housing, il quale insieme ai progetti di Eisenmann e di Hertzberg
risultano essere del tutto innovativi riguardo il rapporto dell’architettura
con la città. Un edificio residenziale di otto piani rivestito di bronzo, che
riflette tutte le sfumature del cielo della città dall’alba al tramonto. Il
progetto è stato presentato all’Internationale Bauausstellung Berlin all’inizio
degli anni ’90 grazie anche al sostegno del movimento femminista Feministische
Organisation von Plannerinnen und Architektinnen, fondamentale visto il numero
esiguo di partecipanti donne al programma. Non sembrava entusiasta di avere il progetto incluso
nel suo catalogo ufficiale negli anni successivi, sono non sicuro perché, come
è un incredibilmente raro esempio del suo lavoro in anticipo e fa davvero
visivamente cattura un senso di quello sguardo decostruttivista precedenza
appuntita, dei suoi molti progetti non realizzati a quel tempo.
Camminando a ritroso nella sua
storia, la sua origine del lavoro risulta essere grafica e pittorica, e grazie
a questa via scopre che Paul Klee, già negli anni 20 aveva dipinto non solo un
opera grafica, ma anche un’ipotesi di architettura. Per es. nel quadro “Strada
principale strada secondaria”, simula la planimetria di una città, con linee
incrociate, e ampi quadrati posti a scacchiera. Secondo Klee i piani mutano, si
articolano grazie al colore, e le forme sono tutte ricavate da un tessuto
unico, come fossero variazioni di un’unica tessitura, la quale Hadid
interpreterà con un’idea personale a livello grafico e astratto. Secondo lei
dipingere o disegnare vuol dire lavorare alla creazione di uno spazio mentale,
di relazioni grafiche o concettuali, che poi nella fase successiva si traducono
in strutture architettoniche. A lungo è stata “l’architetto di carta”, perché
per circa 10 anni non realizzò quasi nulla. "Sei un’artista" o
"non male per una ragazza" erano solo alcuni dei commenti che
riceveva per i suoi progetti. Erano gli anni Ottanta e le donne non andavano
mai oltre un certo livello; “Si supponeva che non potessi avere un’idea. Se
invece sei un uomo non solo puoi averla ma puoi anche essere esigente”
sottolineava lei senza peli sulla lingua
in un'intervista del 2013.
Per la Hadid quindi i temi
importanti sono contesto e rapporto architettura-ambiente proprio attraverso il
concetto di tessitura e la relazione conseguente dell’architettura con il suolo.
Tale concetto si evince dal
progetto “The Peak a Hong Kong”, che propone come punto di riferimento
architettonico per distinguersi dalla massa, della congestione e intensità di
Hong Kong dove la creazione di un’ uomo fatto montagna di granito; spazi
scavati, sotterranei. Tali spazi orizzontali e vuoti galleggianti con varie
attività sono all’interno di una geologia unica.
L’originalità dell’idea
architettura-paesaggio attraverso una tessitura è decisiva nel confronto con
altri grandi architetti quali: Eisenman, Gehry, e i coetani Koolhaas e Tschumi.
Furono questi ultimi lavoro sul concetto di layer per la nasciata del progetto
attraverso sottosistemi indipendenti, ma con sovrapposizioni meccaniche a
differenza della Hadid che intreccia, tronca e combina parti. È agli inizi
della sua carriera, Rem Koolhaas le chiese di lavorare nel suo studio OMA.
“Solamente come Partner!” fu la sua risposta. E alla replica dell’olandese di
accettare, a patto che fosse una partner ubbidiente, aggiunse un secco NO! “Fu
la fine della mia carriera”, scherzava lei in un’intervista.
Zaha Hadid e Rem Koolhaas |
Hadid è attratta dalle forze
dinamiche guizzanti tipiche delle autostrade, svincoli, ponti e ferrovie,
diventando ispirazione per creare una forma di architettura a metà edificio a
metà articolazione fisica e infrastrutturale del paesaggio. Il progetto chiave
per questa ricerca è la stazione dei pompieri Vitra, dove si intrecciano i
livelli di tessitura e infrastruttura in una maniera nuova. Proponendo un’idea
dinamica e veloce del paesaggio. Nel progetto per un blocco residenziale per
l’IBA di Berlino Hadid lotta contro le impostazioni del regolamento che
prevedeva la riproposizione dell’edificio del blocco continuo e omogeneo su
strada. Il suo ragionamento riflette su rapporti fondamentali tra edificio e
città, inventando un nuovo modo di fare un edificio. Invece di distribuire le
quantità edilizie in maniera omogenea, l’architetto da una parte crea un corpo
basso di case a schiera su un portico commerciale lungo la strada e dall’altra
impenna l’angolo, energizzando la città come la prua di una nave che fende la
superficie.
Ma le critiche ricevute dalla Dame
(equivalente femminile del titolo di Knight, cavaliere, nel Regno Unito) non
erano solo una "questione di genere". Per molti le sue opere
incarnano i peggiori impulsi dell’esuberanza architettonica più recente, perché
cede al virtuosismo scultoreo a scapito della logica e dell’efficienza; perché
predilige l’estetica anziché la funzionalità. Vittorio Gregotti definisce
quelle di Hadid delle “illustrazioni progettuali” che non hanno niente a che fare con i grandi
suprematisti e costruttivisti russi ai quali guardava per la sua architettura.
Per Norman Foster invece, il trionfo di Zaha sta nell’andare oltre la visione grafica,
trasformando in realtà quel suo approccio scultoreo all’architettura che tanto
indispone i suoi critici più feroci.
“Non si potrebbe pensare alla
leggerezza e alla tendenza a librare verso l’alto che ha creato i presupposti
per i grattacieli di Mies van der Rohe a Chicago e New York senza citare i
grandi artisti russi. La mia architettura è fortemente influenzata dal
Movimento Moderno. Quell’idea del modernismo secondo cui ogni volta che si
raggiunge un determinato scopo ci si ferma per poi ripartire è ancora di grande
attualità”. Dai maestri russi apprende infatti la geometria frammentata, il
caos calcolato ma soprattutto la sfida della legge di gravità. “Malevich
Tektonik” è il titolo della sua tesi di laurea, un progetto di un ponte sul
Tamigi, dove il termine Tettonica riassume in sé la teoria delle forme pure e
della sensibilità plastica elaborata dal maestro russo tra il 1910 e 1914. Ma
quella della Dame è una tettonica un po’ sui generis, come la definisce Luigi
Prestinenza Puglisi, nella quale l’attenzione si sposta dal contenitore al
contenuto, dall’involucro allo spazio, “trasformando -per usare le parole
dell’Hadid- tutti i vincoli possibili ed immaginabili in nuove opportunità
spaziali”.
È nella mostra curata dal giovane
Wigley del 1988 a New York che sette architetti: Frank O. Gehry, Daniel
Libeskind, Rem Koolhaas, Peter Eisenman, Zaha Hadid, Bernard Tschumi e del
gruppo Coop Himmelb(l)au. Avranno in comune l’ interesse per l'opera dei
costruttivisti russi degli anni venti del Novecento, che per primi infransero
l'unità, l'equilibrio e la gerarchia della composizione classica per creare una
geometria instabile con forme pure disarticolate e decomposte. È questo il
precedente storico di quella “destabilizzazione della purezza formale” che gli
architetti decostruttivisti esasperano nelle loro opere attuando così un
completamento del radicalismo avanguardistico costruttivista. Da ciò scaturisce
la cifra “de” anteposta al termine costruttivismo, che sta a indicare la
“deviazione” dall'originaria corrente architettonica presa a riferimento.
Dopo il periodo postmoderno
(anche se, per ironia, entrambi i movimenti, seppur antitetici, sono stati
promossi da Philip Johnson) il decostruttivismo riconduce la ricerca
architettonica nel filone iniziato dal Movimento Moderno, anche se alcuni
critici ritengono comunque il decostruttivismo come esercizio puramente
formale, dove sono assenti quei temi sociali che erano propri del Movimento
Moderno. In questa
esposizione veniva estrapolata un'architettura "senza geometria" (la
geometria euclidea), piani ed assi, con la mancanza di quelle strutture e particolari
architettonici, che sono sempre stati visti come parte integrante di
quest'arte. Una non architettura, quindi, che si avvolgeva e svolgeva su sé
stessa con l'evidenza e la plasticità dei suoi volumi. La sintesi di ciò è una
nuova visione dell'ambiente costruito e dello spazio architettonico, dove è il
caos, se così si può dire, l'elemento ordinatore.
Le linee sinuose e le forme architettoniche inaspettate, protagoniste di uno spazio mutevole, carico di energia e svincolato dalle coordinate cartesiane, sono state definite come futuristiche. A chi le chiedeva perché nei suoi progetti non ci fossero linee rette ed angoli a 90° lei rispondeva: “Semplicemente perché la vita non è una griglia. Prendete un paesaggio naturale, non c’è nulla di regolare o piatto, ma tutti trovano questi luoghi molto piacevoli e rilassanti. Penso che dovremmo cercare di ottenere questo con l’architettura, nelle nostre città. Di orribili edifici a basso costo se ne vedono fin troppi”.
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